Un filo di anice nell’aria, una treccia dorata tra le dita, l’olio che canta: le nacatole calabresi sanno trasformare la cucina in una stanza di festa, con il ritmo antico dei gesti tramandati.
Origini e significato
Le nacatole calabresi sono dolci di casa. Nascono nell’area reggina, in particolare nella Locride, e compaiono sulle tavole di Natale e Carnevale. Il Ministero dell’Agricoltura le inserisce tra i prodotti tradizionali calabresi (Elenco nazionale PAT, sezione Calabria, edizione 2024). La forma a treccia o a nodo richiama il gesto della condivisione: si intrecciano ingredienti semplici e si intrecciano le mani in cucina.
La ricetta varia di famiglia in famiglia, ma il profilo è costante: impasto sobrio, profumo di anice, frittura in olio caldo, spolvero di zucchero a velo. In diversi borghi si frigge il 24 dicembre, per offrire le nacatole ancora tiepide a parenti e vicini. Alcuni le preferiscono asciutte e croccanti, altri più gonfie e paneuse. Non esistono dati sistematici sulla diffusione delle varianti; esistono case, strade, fornelletti e memoria.
Un dettaglio poco citato ma utile: molte versioni storiche usano l’“ammoniaca per dolci” (bicarbonato d’ammonio), che in frittura svanisce e regala una friabilità pulita. L’Accademia Italiana della Cucina documenta ricette affini nella tradizione calabrese (AIC, La Cucina Regionale, Calabria).
Ricetta di base e consigli pratici
Ecco una traccia essenziale, con proporzioni realistiche e facilmente replicabili in casa: Farina 00: 500 g, Uova: 3 medie, Zucchero: 80–100 g, Olio extravergine o di semi nell’impasto: 60–80 ml, Liquore all’anice o vino bianco: 40–60 ml, Scorza di limone o arancia non trattata, Un pizzico di sale, Un cucchiaino di ammoniaca per dolci oppure 6 g di lievito per dolci.
Procedi così. Impasta farina, zucchero e sale. Incorpora uova, olio, aromi e agente lievitante. Lavora fino a ottenere un impasto sodo ma elastico. Avvolgi e riposa 30–45 minuti. Forma cordoncini di 1 cm di diametro. Intreccia e chiudi a ciambella.
Scalda l’olio di semi di arachide a 170–175°C. Mantieni stabile la temperatura: è il cuore del risultato. Friggi poche alla volta, gira una volta, scola su carta. Spolvera con zucchero a velo o zucchero semolato finissimo. Si conservano 2–3 giorni in scatola di latta; oltre, perdono croccantezza.
Il punto centrale arriva qui: la leggerezza non nasce dalla “magia” della treccia, ma dall’equilibrio tra impasto asciutto e controllo della frittura. Se la temperatura scende sotto i 165°C, l’olio penetra e appesantisce. Se supera i 180°C, colora troppo e lascia l’interno crudo. Un termometro da cucina risolve metà dei problemi. L’altra metà la risolve il riposo dell’impasto, che rilassa il glutine e rende più netta la struttura.
Dettagli che fanno la differenza: Anice: liquore se vuoi profumo netto; semi di anice pestati se vuoi persistenza. Grasso nell’impasto: olio extravergine per un accento mediterraneo; olio di semi per un profilo neutro. Dolcificazione: poco zucchero dentro, più zucchero fuori. Evita impasti eccessivamente dolci, pesano in frittura. Alternative locali: in alcune famiglie si nappano con miele di fichi o mosto cotto. È un uso documentato in Calabria, ma non uniforme; valuta in base alla tua memoria di gusto.
Fonti utili e verificabili: Elenco nazionale PAT – Calabria, MASAF 2024; Accademia Italiana della Cucina, La Cucina Regionale – Calabria; Slow Food Editore, Atlante dei prodotti tipici (ed. recenti).
Ogni treccia racconta una casa. Tu, quale profumo vorresti che restasse sulle mani: il limone del tuo giardino o l’anice che sa di feste senza orologio?